La bugia ha le gambe corte.
Il presidente del Consiglio ha usato una telefonata al TG1, ospitale come un "house organ", per condannare “la fabbrica di menzogne, di estremismo e anche di odio” che in Italia alimenta, a suo dire, gesti violenti e insani come quello subito da Benedetto XVI nella notte di Natale e, per agevole simmetria, quello a lui stesso inflitto, giorni fa, in piazza Duomo a Milano.
Naturalmente la disavventura del Papa, al quale Silvio Berlusconi, in mancanza d'altre consonanze, si sente affine, non ha nulla a che vedere con il clima politico italiano, perché l'assalitrice di San Pietro, una persona disturbata quanto quella che aveva ferito il premier, viene dalla Svizzera, dove non ci sono giudici politicamente motivati, complotti ai danni di magnati dell'informazione, sinistre ancora nostalgiche del comunismo, mafiosi che collaborano con la giustizia, e via elencando. Ma il fatto che le bugie abbiano le gambe corte, nell'odierna politica italiana così credulona, conta poco: attribuire al nemico le proprie intenzioni, cioè la “campagna d'odio”, è lo strumento numero uno della propaganda.
Da almeno duemila anni: per ricordarlo ci basta Fedro, il favolista, senza invocare il suo più celebre contemporaneo, insuperato narratore di parabole evangeliche.
“Superior stabat lupus, longeque inferior agnus”. In riva a uno dei più famosi torrenti della letteratura d'ogni tempo, scrive Fedro, il lupo era in alto mentre l'agnello stava molto più in basso. La sete li accomuna, ma il lupo ha soprattutto voglia d'attaccare briga: perché, chiede dall'alto, intorbidisci l'acqua che sto bevendo, “turbulentam fecisti mihi acquam”?
Com'è possibile, ribatte l'agnello, se l'acqua viene da te alle mie sorsate, “a te decurrit ad meos haustus liquor”? Già, la scusa dell'acqua non sta in piedi, ma il lupo, forte dei suoi mezzi, ne ha subito pronta un'altra: tu hai parlato male di me, “ante hos sex menses ”, sei mesi fa!
Ma neppure questa funziona: a quell'epoca, si trincera l'agnello, non ero neppur nato. Adesso basta con questi cavilli, “fauce improba incitatus”, sbotta il lupo: “Pater, hercle, tuus male dixit mihi”.
Per Ercole, allora è stato tuo padre a parlare male di me. E con un balzo salta sull'agnello e gli dà morte ingiusta, “iniusta nece”, offrendo a Fedro il destro per la morale: “Questa favola è scritta per gli uomini che opprimono gl'innocenti con falsi pretesti”.
Ora, questa favoletta morale fa al caso di Berlusconi non per l'eventuale morte di un innocente, visto che d'agnelli incolpevoli è assai carente la nostra povera Italia. La profonda verità sta in quell'inciso, “fauce improba incitatus”, che Fedro butta lì come motivazione recondita del lupo, “spinto dalla sua insaziabile avidità”. Ora, non v'è avversario politico, al pari di ogni seguace, che non riconosca al presidente del Consiglio un'insaziabile voglia: di soldi, di potere, di fama, di popolarità.
Da dove viene questa brama irrefrenabile, che l'ha fatto diventare l'uomo più ricco e più potente d'Italia, “superior” a tutti come il lupo della favola, e perché questa cupidigia ci porta proprio alla campagna d'odio di cui egli accusa i suoi avversari?
Infatti, se è vero che “odio” è parola troppo grossa in politica, dove i sentimenti servono gl'interessi, è piuttosto la “politica del rancore” quella che anima Berlusconi, e che i suoi seguaci più accesi, quelli che divorano il “Giornale” o “Libero”, istintivamente condividono e adorano.
Spieghiamoci con un esempio. Campione della politica del rancore è Richard Nixon, vicepresidente con Eisenhower negli anni '50 e poi presidente, dopo essere stato battuto da Kennedy, dal 1968 al 1974. Personaggio mefistofelico, shakespeariano, astuto e paranoico, capace di risorgere dalla polvere come una fenice politica, Nixon è il protagonista di un'acclamato saggio pubblicato in America dallo storico Rick Perlstein, “Nixonland”, in cui viene accusato di “avere spaccato l'America” con la politica del rancore.
Di che si tratta? Nixon, dice Perlstein, era “un raccoglitore ossessivo di risentimento”.
Di origini piccolo-borghesi, riuscì a entrare al Whittier College, in California, il cui campus era dominato dai “Franklins”, dal nome del club universitario a cui s'erano iscritti i rampolli della grande borghesia, progressisti e snob. Per risposta Nixon creò un club rivale, gli “Orthogonians” (più o meno quelli “ad angolo retto”), dove raccolse i suoi simili: studenti meno raffinati, socialmente insicuri, pendolari.
Aveva trovato la sua “maggioranza silenziosa”, che lo premiò eleggendolo, al posto di un “Franklin” vanitoso, a capo dell'associazione studentesca. Da lì alla Casa Bianca il viaggio politico di Nixon, un antisemita che in privato parlava come un carrettiere, avverrà sulle spalle della maggioranza rancorosa.
Non v'è chi non veda la somiglianza con Silvio Berlusconi, di cui infiniti biografi hanno messo in luce il complesso d'inferiorità verso la buona società milanese, a cui non era stato ammesso per nascita, il risentimento per la Confindustria, che non lo aveva mai preso sul serio, il desiderio d'espugnare il “salotto buono” di Mediobanca, che lo ricordava figlio d'un funzionario della piccola Banca Rasini. Così le battute volgari, le pacchianerie ostentate, le prostitute vantate sono strumenti dell'emancipazione dai "signori".
Ma non v'è anche chi non veda la lungimiranza politica: il popolo rancoroso, che invidia ma pure detesta la grande borghesia di cui Gianni Agnelli era simbolo, è molto più numeroso degli snob progressisti, siano economisti con la erre moscia oppure comunisti con il cachemere.
Ecco perché la politica del rancore di Berlusconi ha bisogno del vittimismo (“chiagne e fotte”, diceva di lui Montanelli), in cui i frustrati si riconoscono. Ed ecco perché il premier, dopo avere definito in ogni modo, perfino “coglioni”, coloro che non votano per lui, ora li accusa di alimentare una campagna d'odio.
Tutto si rovescia nel mondo del risentimento: se invidio dico che mi invidiate, se v'insulto dico che mi insultate, se nutro rancore dico che mi odiate..
Finora ha funzionato. Funzionerà? Probabilmente sì, perché la maggioranza silenziosa italiana perdona a Berlusconi molte debolezze – politiche, finanziarie, penali, personali - e molte di più ne perdonerà la sinistra, se sarà incapace di dare risposte alle insicurezze degli "Orthogonians" italiani, ma si limiterà a prendere in giro la canottiera di Bossi o le Noemi del primo ministro.
Purché l'eccessiva confidenza non faccia commettere a Berlusconi errori fatali: Nixon, il furbacchione che s'era fatto il nomignolo di “Tricky Dick”, scivolò alla fine sul Watergate: può essere per Berlusconi un modello, ma resta anche l'unico “lupus” della politica americana a essere stato cacciato con ignominia dalla Casa Bianca.