giovedì 29 marzo 2012

«Sono suicidi di Stato»



CRISI

Vattimo e Bonomi sui gesti disperati di operai e imprenditori.
di Antonietta Demurtas


Il sociologo Aldo Bonomi.

Come una Cassandra, il sociologo Aldo Bonomi lo va dicendo da mesi: «State attenti che i lavoratori, soprattutto i piccoli imprenditori che non riescono ad attraversare questa crisi, vedono rotta la simbiosi con l'impresa, che per loro è un progetto di vita». Una rottura davanti alla quale non resta più nulla se non «la paura, la vergogna del fallimento, la disperazione», dice a Lettera43.it.
SOS INASCOLTATO DEI LAVORATORI. Ma a quell'Sos nessuno sembra aver prestato troppa attenzione. E così davanti all'ennesimo gesto disperato di un operaio edile di origine marocchina che il 29 marzo si è dato fuoco davanti al municipio di Verona perché senza stipendio da mesi, l'ottimismo manifestato solo il giorno prima dal presidente della Repubblica grida vendetta.
IL GESTO DISPERATO DI BOLOGNA. Proprio mentre Giorgio Napolitano diceva: «Credo ci sia una straordinaria consapevolezza tra gli italiani, non vedo esasperazione cieca e ho molta fiducia sulla capacità di comprensione di un momento difficile», un artigiano bolognese si dava fuoco all'interno della sua macchina davanti alla sede dell'Agenzia delle Entrate. «Pago le tasse, ora non ce la faccio più...», ha scritto in una delle lettere d'addio.
«NAPOLITANO SI AFFACCI ALLA FINESTRA». Parole davanti alle quali il filosofo Gianni Vattimo si chiede: «Se non sono suicidi di Stato questi cosa sono?». E invita Napolitano «ad affacciarsi alla finestra del Quirinale per vedere se davvero non ci sono italiani esasperati».
«C'è una differenza tra esasperati e disperati», continua il filosofo torinese. «Forse Napolitano e Monti non considerano i disperati perché tanto quelli si tolgono di mezzo da soli, invece gli esasperati possono protestare e ribellarsi».
Vattimo: «Indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente»


(© La Presse) Gianni Vattimo.

Vattimo è esasperato, e questa volta non ci sta ad accettare che i problemi vengano sottovalutati. «Sono indignato dall'indifferenza di questa classe dirigente», spiega, «stanno facendo di tutto per stimolare ogni genere di rivolta».
Ma per ora le forze sembrano mancare. E così non resta che l'autolesionismo: «Queste persone hanno perso la fiducia, non vedono nessuno che possa portare la bandiera per loro, hanno perso tutto». E basta guardare le cause che hanno portato a gesti così estremi «per capire di chi sono le responsabilità».
«STRETTI TRA TASSE E STIPENDI RIDICOLI». «Tasse, stipendi ridicoli, stretta creditizia, tutto scaricato sulle spalle degli operai e dei piccoli imprenditori», denuncia Vattimo.
«Su cui si aggiungono le ganasce di Equitalia, l'impossibilità di pagare i propri dipendenti e l'imposizione fiscale», osserva Bonomi. «Per questo spero che questi problemi entrino nell'agenda della politica, delle istituzioni, dell'Agenzia delle Entrate. Ma ne dubito».
LO SPETTRO DEGLI ANNI 70. In fondo, ricorda il sociologo, «già negli Anni 70 avevamo conosciuto questo fenomeno dei suicidi tra i cassintegrati della Fiat che avevano perso il lavoro e con esso il loro luogo di appartenenza». Ma ovviamente anche allora «tutto fu nascosto come la polvere sotto il tappeto».
DAGLI OPERAI AI PICCOLI IMPRENDITORI. Da allora i cambiamenti sono stati pochi. Prima i protagonisti di questa strage silenziosa «erano soprattutto gli operai. Poi è emerso il capitalismo molecolare e il fenomeno ha iniziato a riguardare anche i piccoli imprenditori», spiega Bonomi.
«L'ASSENZA DELLA POLITICA». Una situazione talmente drammatica, «che mi stupisce che ne muoiono ancora così pochi. Forse gli altri moriranno di fame», dice Vattimo, «ma anche allora la politica farà finta di nulla, per paura di esasperare un clima già asfissiante. Per non riconoscere questi suicidi di Stato».
«Non dimentichiamo», ricorda Bonomi, «che spesso sono proprio le istituzioni a non pagare le fatture e a mettere in difficoltà i piccoli imprenditori e i loro dipendenti». Lo dimostrano i dati della Cgia di Mestre, secondo cui gli imprenditori italiani sono creditori dello Stato per oltre 70 miliardi di euro.
Bonomi: «Non collegare direttamente il Noi e i traumi dell'Io»


(© Ansa) Bologna: l'auto dove si è dato fuoco l'uomo.

Un tema delicato che Bonomi rimanda a quel complesso intreccio «tra i fenomeni che riguardano il Noi e i traumi dell'Io». E su cui, avverte, è sempre «problematico fare un link automatico». Non c'è però dubbio che «tra i drammi collettivi come la crisi economica e il dramma personale di chi sceglie di compiere un gesto estremo esiste un collegamento».
LE RESPONSABILITÀ DELLA STAMPA. E, secondo Vattimo, la responsabilità è anche di «quella stampa “indipendente” che ha pompato Monti come il salvatore e invece ora anziché ricredersi continua a non collegare i fatti».
E i fatti raccontano di «piccoli imprenditori abbandonati dallo Stato che vedono come unica soluzione ai loro problemi il suicidio». Un gesto che «di certo non sta meditando di compiere Sergio Marchionne», aggiunge Vattimo.
LA MORIA DI AZIENDE. Perché ancora una volta i più deboli cadono sotto i colpi dei grandi. «In Piemonte», fa notare il filosofo, «vedo ogni giorno centinaia di piccole aziende che chiudono nel silenzio generale».
E così un pensiero assilla Vattimo: «Chissà quando inizieremo a contare anche i suicidi degli esodati. E chissà se anche allora chi sta al potere non sentirà sulle proprie spalle il peso di quelle morti».
Giovedì, 29 Marzo 2012

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Oggi Anna Frank è palestinese.


Emanuele Ungheri


In dieci anni quasi 8000 bambini palestinesi sono stati arrestati, deportati e torturati dalle forze israeliane (Defence Children International). Vengono prelevati nelle loro case e persino nelle scuole, con blitz dell'esercito che punta i mitra verso bambini atterriti. I maltrattamenti che i minori palestinesi subiscono non sono casuali ma fanno parte di una precisa politica di pulizia etnica che lo stato dell'apartheid, Israele, conduce da sempre verso la popolazione palestinese.

Chi uccide, tortura, deporta e incarcera i bambini, uccide, tortura, deporta e incarcera il futuro di un popolo. Basta con la pulizia etnica dei palestinesi Israele!

Il sobrio fondo ubriaco

DON PAOLO FARINELLA –
Se Mario Monti, detto il «tecnico» è il presidente del consiglio «sobrio», allora vuol dire che gli ubriachi sono astemi. Berlusconi era un debosciato, Monti è un illiberale e anche un presuntuoso. Ha avuto bisogno di andare in Corea (la coerenza degli eventi è sempre di grande eccellenza!) per ricattare gli Italiani e lasciarsi andare a panzanate di stampo andreottiano. Il professore è suscettibile: va giù nei sondaggi e lui si ripicca come un deboluccio gracidante che si dà un tono per non morire di paura: «lei non sa chi sono io!». Si che lo sappiamo, caro tecnico politico.

Il ricatto è semplice: «se gli Italiani non sono pronti, io lascio». Bravo! Bis! Mai stupidaggine più banale si è sentita da un presidente del consiglio che ad ogni piè sospinto non esita a dire ci essere «equo, sobrio e serio». Per smentire questa trilogia basta pensare alla «sora Fornero» o a Michel Martone o al ministro degli esteri, emblemi lombrosiani dall’eloquio da cura psichiatrica.

Il professore sobrio ha stravolto la realtà perché non sono gli Italiani che devono essere pronti, ma è lui che deve stare attento perché non è il padrone dell’Italia, ma solo un servo di un popolo sovrano che, se vuole, lo può scaraventare giù da una finestra di Palazzo Chigi senza nemmeno pensarci due volte. Ecco come si stravolgono le regole, le leggi e la Costituzione. Secondo il Monti-pensiero, quello che lui decide deve essere accettato a scatola chiusa, come se fosse una scatola di EX Cirio, che per quella pubblicità fallì e fu depredata e liquidata per un tozzo di pane?

Fino a a prova contraria e a Costituzione invariata, è il governo che deve dipendere dal paese e non l’inverso. E’ la democrazia, bellezza! Solo la democrazia! Con quella dichiarazione da estremista coreano, abbiamo toccato il fondo e forse andremo ancora più sotto perché l’impegno del governo è di creare una precarietà instabile permanete vita natural durante. Ha un bel dire che il lavoro sarà per tutti «indeterminato», salvo licenziamenti e flessibilità in uscita, senza andare tanto per il sottile. Fino ad ora di una cosa siamo certi: l’impegno del governo è l’abolizione dell’art. 18, impugnato come un trofeo da sbandierare sulle piazze pazze del pazzo mercato, come a dire alle aziende italiote ed esteriote: venite in Italia, dove potete licenziare quando volete.

Non c’è ancora una sola norma che metta un argine a questa falcidia programmata e garantisca che le ditte non possano licenziare a capriccio. Per ora sono solo parole, parole, parole e se il mattino si vede dal buon giorno, alla luce delle scelte operate dal governo che si legge Berlusconi e si pronuncia Monti, il peso più tragico lo pagheranno ancora e sempre il ceto debole, coloro che non hanno strumenti per ribellarsi e mandare tutti all’aria trita e ritrita di un governo, i cui componenti non hanno alcun problema di articolo 18, per cui possono legiferare per gli altri perché tanto … e chi se ne frega?


Il lavoro non c’è, le tasse aumentano, i servizi si pagano, le detrazioni diminuiscono, gli esodati ai quali lo Stato aveva fatto una solenne promessa di mandarli in pensione ad una certa età e con certi contributi, mentre sono costretti a vivere due/tre/quattro/sei/dieci anni senza stipendio e senza pensione e quindi? La sora Fornero ha sbagliato anche i calcoli. Pensava lei, la signoooora! Che gli esodati sarebbero stati meno di 50 mila, invece oggi si accorge che sono non meno di 350 mila e l’hanno pure fatta ministra! Non ha sbagliato di una decina di unità, ma di trecentomila! Sorbole! Cosa resta ad un cittadino comune che oltre agli attacchi concentrici del governo deve sorbirsi anche il pistolotto del presidente del consiglio coreano, Monti Marietto? O si spara o spara. Oltre c’è solo loa disperazione caduta nel fondo ubriaco di un signore per caso che si chiama Marietto Monti.

don Paolo Farinella

(29 marzo 2012)





Roberto Serra
4 ore fa ·
Potrei anche risultare un populista incline alle chiacchiere da bar... ma sono fermamente convinto ormai che le nostre tanto decantate classi dirigenti siano dei carrozzoni inutili agganciati al treno del nostro Paese che con molta difficoltà arranca sulla lenta salita della crescita economica (ma anche sociale e culturale). Chiedere qualcosa a loro penso sia perfettamente inutile. Come si fa a chiedere di risolvere i problemi di chi guadagna a malapena 1.000 euro al mese a persone che, sommando un po' tutto, stipendi, benefit, indennità, etc, guadagna 1.000 euro al giorno? E senza nessun tipo di sforzo fisico e mentale? E a volte nemmeno senza grosse competenze? Persone che maneggiano milioni di euro pubblici e si compran le ville, gli yacht... che spendono 200 euro per una pastasciutta? Persone che si permettono l'ignoranza di non sapere nemmeno cosa siano le leggi e le norme che son chiamati a votare in Parlamento o nemmeno articoli fondamentali della Costituzione Italiana? Gente che è da 30 anni in Parlamento e ancora oggi, quotidianamente viene a raccontarmi di avere la ricetta giusta per salvare il Paese? Cioè... fatemi capire... io dovrei sperare che questi illustri personaggi che non avranno MAI un figlio in cassa integrazione o mobilità siano in grado di salvare il mio lavoro, il mio Paese e garantirmi un futuro migliore per me e la mia famiglia? Io non ci credo... Non ci credo più. O siamo in grado di farli scendere dal trono e tornare sulla terra o questa bella Italia è spacciata e il suo popolo ancora prima di essa.

giovedì 22 settembre 2011

Maggioranza stabile e impresentabile


Maggioranza stabile e impresentabile
Chiuso nel bunker di Palazzo Grazioli mentre tutto intorno crolla, Silvio Berlusconi respinge l'ultimo attacco.
Non basta la bocciatura di Standard & Poor's. Non basta lo spread che torna sopra quota 400.
Non basta l'onda sempre più alta del discredito internazionale, che copre l'Italia di ridicolo e la accosta ormai pubblicamente alla Grecia. Non bastano neanche le inchieste giudiziarie che inchiodano il premier alle sue responsabilità, personali e forse anche penali. Non bastano le "serate eleganti" a base di sesso e soldi, le telefonate imbarazzanti con gli spacciatori di escort e i faccendieri di mestiere, l'abuso di potere e le ragazze usate come "mazzette umane" per aprire le porte degli appalti in Finmeccanica e alla Protezione Civile.

Ma ora non basta neanche il voto sull'arresto di Marco Milanese, braccato dai pm per il traffico di nomine pilotate e affari sporchi attraverso il ministero del Tesoro. Il governo e la maggioranza si salvano anche dall'ultima minaccia. Il voto segreto alla Camera sull'ex braccio destro Giulio Tremonti a Via XX Settembre non lascia spazio alle ambiguità e ai distinguo.
La sfibrata coalizione forzaleghista è inesistente su tutto: dal sostegno alla crescita economica alla lotta alle disuguaglianze sociali. Ma quando si tratta di difendere la poltrona, si ristabiliscono miracolosamente ordine e disciplina. Spariscono i frondisti del Pdl, svaniscono gli irredentisti della Lega.
I 312 voti contrari all'arresto lo confermano: considerate le due assenze (una di Frattini, giustificata, e l'altra dello stesso Tremonti, tanto sospetta da innescare l'ennesimo spargimento di veleni nel centrodestra) la maggioranza è stabile, ancorché impresentabile.
È inchiodata a quota 314, quel numero al lotto che ha permesso al Cavaliere di respingere la mozione di sfiducia con la quale il 14 dicembre dello scorso anno Gianfranco Fini tentò inutilmente la spallata esiziale. Da allora, con qualche oscillazione minima (dal voto sulla relazione di Alfano ad alcuni voti sulla manovra), la resistibile armata berlusconiana ha retto intorno a questa soglia, politica e psicologica (dal voto sulla sfiducia a Bondi in poi).

La maggioranza non è cresciuta, come aveva promesso il Cavaliere sull'onda di una scandalosa compravendita di parlamentari che non si è mai interrotta. Ma non si è neanche liquefatta, come troppo spesso ha sperato e scommesso l'opposizione, fidando sulla faglia centrista che finora non si è aperta. Dunque, per quanto svillaneggiato in tutto il mondo e sfiduciato da buona parte dell'opinione pubblica, il presidente del Consiglio "non molla".
Come ha giurato al Capo dello Stato. Lo aiuta il suo alleato più fedele e irriducibile, Umberto Bossi.
Il Senatur non vuole, ed evidentemente non può, rompere il patto di sangue e di chissà cos'altro che lo vincola al Cavaliere.
Come nel Popolo delle Libertà, anche nella Lega resta intangibile l'impronta personale, che fa di queste due formazioni non due partiti, ma due comitati elettorali e pre-politici, costruiti sui sogni e i bisogni dei rispettivi leader. E risultano patetiche, ormai, le adunate nelle valli padane, dove i colonnelli si stringono goffi e imbarazzati intorno al Cerchio Magico, salvo poi tornare nei corridoi romani a diffondere mugugni irrefrenabili e a prospettare rotture improbabili. È tutto e solo falso movimento.

Pdl e Lega non romperanno, perché Berlusconi e Bossi hanno e avranno bisogno fino all'ultimo minuto l'uno dell'altro. Per esistere o per resistere, il che ormai fa lo stesso.

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Fino a quando e a che prezzo? Sono le due domande che restano. Alla prima non c'è risposta. Si vive alla giornata, come ripete lo stesso Senatur, nei suoi momenti di lucidità. Alla seconda, invece, una risposta c'è. La si trova nel verdetto quotidiano dei mercati finanziari. Non tanto nei giorni neri della Borsa di Milano, che guida sempre ogni tracollo delle piazze internazionali.
Quanto nel differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi, ormai stabilmente a ridosso dei 400 punti, e calmierato solo dai generosi acquisti di Btp che la Banca centrale europea continua a concederci.
È un prezzo altissimo, perché a regime ogni 100 punti di allargamento della forbice ci costano 16 miliardi di euro in termini di maggior onere del debito pubblico. Eppure dobbiamo pagarlo.
Con una consapevolezza, amara e drammatica. L'unica leva che può indurre Berlusconi a un gesto estremo di responsabilità verso il Paese (sarebbe il primo e l'ultimo) può arrivare dai mercati. Lo spread che si impenna a 500 punti. Un'asta del Tesoro che non va esaurita. L'Europa che trancia un giudizio senza appello.
Un vero shock, insomma, che imponga una discontinuità politica immediata. Uno scenario da incubo. Nessuno lo auspica, ma nessuno può più fingere di non vederlo.
(22 settembre 2011) © Riproduzione riservata