giovedì 22 settembre 2011

Maggioranza stabile e impresentabile


Maggioranza stabile e impresentabile
Chiuso nel bunker di Palazzo Grazioli mentre tutto intorno crolla, Silvio Berlusconi respinge l'ultimo attacco.
Non basta la bocciatura di Standard & Poor's. Non basta lo spread che torna sopra quota 400.
Non basta l'onda sempre più alta del discredito internazionale, che copre l'Italia di ridicolo e la accosta ormai pubblicamente alla Grecia. Non bastano neanche le inchieste giudiziarie che inchiodano il premier alle sue responsabilità, personali e forse anche penali. Non bastano le "serate eleganti" a base di sesso e soldi, le telefonate imbarazzanti con gli spacciatori di escort e i faccendieri di mestiere, l'abuso di potere e le ragazze usate come "mazzette umane" per aprire le porte degli appalti in Finmeccanica e alla Protezione Civile.

Ma ora non basta neanche il voto sull'arresto di Marco Milanese, braccato dai pm per il traffico di nomine pilotate e affari sporchi attraverso il ministero del Tesoro. Il governo e la maggioranza si salvano anche dall'ultima minaccia. Il voto segreto alla Camera sull'ex braccio destro Giulio Tremonti a Via XX Settembre non lascia spazio alle ambiguità e ai distinguo.
La sfibrata coalizione forzaleghista è inesistente su tutto: dal sostegno alla crescita economica alla lotta alle disuguaglianze sociali. Ma quando si tratta di difendere la poltrona, si ristabiliscono miracolosamente ordine e disciplina. Spariscono i frondisti del Pdl, svaniscono gli irredentisti della Lega.
I 312 voti contrari all'arresto lo confermano: considerate le due assenze (una di Frattini, giustificata, e l'altra dello stesso Tremonti, tanto sospetta da innescare l'ennesimo spargimento di veleni nel centrodestra) la maggioranza è stabile, ancorché impresentabile.
È inchiodata a quota 314, quel numero al lotto che ha permesso al Cavaliere di respingere la mozione di sfiducia con la quale il 14 dicembre dello scorso anno Gianfranco Fini tentò inutilmente la spallata esiziale. Da allora, con qualche oscillazione minima (dal voto sulla relazione di Alfano ad alcuni voti sulla manovra), la resistibile armata berlusconiana ha retto intorno a questa soglia, politica e psicologica (dal voto sulla sfiducia a Bondi in poi).

La maggioranza non è cresciuta, come aveva promesso il Cavaliere sull'onda di una scandalosa compravendita di parlamentari che non si è mai interrotta. Ma non si è neanche liquefatta, come troppo spesso ha sperato e scommesso l'opposizione, fidando sulla faglia centrista che finora non si è aperta. Dunque, per quanto svillaneggiato in tutto il mondo e sfiduciato da buona parte dell'opinione pubblica, il presidente del Consiglio "non molla".
Come ha giurato al Capo dello Stato. Lo aiuta il suo alleato più fedele e irriducibile, Umberto Bossi.
Il Senatur non vuole, ed evidentemente non può, rompere il patto di sangue e di chissà cos'altro che lo vincola al Cavaliere.
Come nel Popolo delle Libertà, anche nella Lega resta intangibile l'impronta personale, che fa di queste due formazioni non due partiti, ma due comitati elettorali e pre-politici, costruiti sui sogni e i bisogni dei rispettivi leader. E risultano patetiche, ormai, le adunate nelle valli padane, dove i colonnelli si stringono goffi e imbarazzati intorno al Cerchio Magico, salvo poi tornare nei corridoi romani a diffondere mugugni irrefrenabili e a prospettare rotture improbabili. È tutto e solo falso movimento.

Pdl e Lega non romperanno, perché Berlusconi e Bossi hanno e avranno bisogno fino all'ultimo minuto l'uno dell'altro. Per esistere o per resistere, il che ormai fa lo stesso.

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Fino a quando e a che prezzo? Sono le due domande che restano. Alla prima non c'è risposta. Si vive alla giornata, come ripete lo stesso Senatur, nei suoi momenti di lucidità. Alla seconda, invece, una risposta c'è. La si trova nel verdetto quotidiano dei mercati finanziari. Non tanto nei giorni neri della Borsa di Milano, che guida sempre ogni tracollo delle piazze internazionali.
Quanto nel differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi, ormai stabilmente a ridosso dei 400 punti, e calmierato solo dai generosi acquisti di Btp che la Banca centrale europea continua a concederci.
È un prezzo altissimo, perché a regime ogni 100 punti di allargamento della forbice ci costano 16 miliardi di euro in termini di maggior onere del debito pubblico. Eppure dobbiamo pagarlo.
Con una consapevolezza, amara e drammatica. L'unica leva che può indurre Berlusconi a un gesto estremo di responsabilità verso il Paese (sarebbe il primo e l'ultimo) può arrivare dai mercati. Lo spread che si impenna a 500 punti. Un'asta del Tesoro che non va esaurita. L'Europa che trancia un giudizio senza appello.
Un vero shock, insomma, che imponga una discontinuità politica immediata. Uno scenario da incubo. Nessuno lo auspica, ma nessuno può più fingere di non vederlo.
(22 settembre 2011) © Riproduzione riservata